Silvio Orlando adatta il premiato romanzo dell'autore francese Romain Gary edito nel 1975 e mette in scena uno spettacolo teatrale che ha per scenografia una grande torre: il palazzo del quartiere multietnico di Belleville dove al sesto piano madame Rosa si occupa di crescere i figli delle prostitute parigine.

GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA

L'edificio somiglia alla torre di Babele, per la forma e la multietnica popolazione che convive in sei piani di umanità varia, religioni diverse, emarginazione e solidarietà. In questa Babele l'unico linguaggio possibile è quello del rispetto, della comunanza, della solidarietà fra emarginati, dell'amore privo di consanguineità e senza fondamento legale, dell'amore senza legami.
La ricerca d'affetto del piccolo Momò
Silvio Orlando imposta la rappresentazione de La vita davanti a sé puntando sulla narrazione soggettiva di Mohamed, detto Momò, accolto piccolissimo nella casa di madame Rosa dopo che la morte della madre prostituta, uccisa dal protettore - padre naturale del piccolo maghrebino.

Abbandonata la centralità della figura dell'ex prostituta ebrea reduce dei campi di sterminio nazisti, del romanzo francese e degli adattamenti cinematografici (l'ultimo di un paio di anni fa con protagonista Sophia Loren), l'attore e regista napoletano affida la narrazione alla sua tenera, intensa e originale interpretazione del bambino, alla purezza che va tramutandosi negli anni verso l'adolescenza, negli anni in cui il candore dell'infanzia comincia a subire gli attacchi della discriminazione razziale, sociale o religiosa: "fin quando non sono andato a scuola mai nessuno mi aveva fatto notare di essere arabo e musulmano", recita Silvio Orlando nei primi minuti dello spettacolo.
Ma più che la disuguaglianza, il bambino crescendo soffre l'assenza della madre, il calore di una famiglia, quel vuoto che solo la vecchia ex prostituta ebrea prova a colmare.

Il rewind della vita alla ricerca delle radici
Momò cresce e cerca di affermare la sua presenza, di suscitare la reazione del prossimo, di provocare negli altri qualsiasi reazione che sia una prova della sua sopravvivenza. Segue una donna fino a casa, una donna che si era accorta di quel bambino per strada. La segue anche al lavoro in una sala di doppiaggio e scopre la tecnica del riavvolgimento e dell'iterazione, applicando il rewind alla sua breve vita; ripercorrendo all'incontrario i suoi ricordi, Momò va alla ricerca di gesti materni, forse inconsci, alla ricerca di radici affettive, per colmare i vuoti d'amore.
Silvio Orlando ha una intensità recitativa da togliere il respiro agli spettatori, respiro che manca in certi momenti a lui stesso per quanta passione ci mette in questa narrazione drammatica, per quante maschere riesce a indossare per dare corpo a tutta la personalità di un bambino simbolo di una complessa umanità.

Ci pensa la sua piccola orchestra a dare qualche minuto di tregua al racconto e a far riprendere fiato al protagonista in scena. Un'orchestra composta da Maurizio Pala alla fisarmonica, Kaw Sissoko alla kora e al djembè, Marco Tardito al sax e diretta dal percussionista Simone Campa.
Credevo fosse amore e invece era un uovo
Momò racconta di aver rubato un uovo alla bottegaia, per ottenere la sua attenzione, per la speranza di suscitare interesse in quella donna che potrebbe essere sua madre o diventarla magari, con un affidamento, come gli altri bambini di madame Rosa. Invece ottiene un altro uovo in regalo, ma non era cibo che cercava.

Silvio Orlando ripete lo stesso episodio e le stesse parole anche alla fine dello spettacolo, dopo ottanta minuti di una narrazione attraente, coinvolgente, credibile quanto attendibile è un attore che riesce a trasformarsi in un bambino che trascina lo spettatore in un dramma doloroso. Ma l'attore napoletano lo fa senza trasmettere sofferenza negli spettatori, anzi suscitando a volte quel sorriso pudico come quando la sofferenza lascia spazio all'ingenuità ilare dell'innocenza.
Silvio Orlando è il bambino che riesce a concentrare il dramma umano in una forte domanda di amore, in un potente prova d'amore che la storia di Romain Gary ha narrato e che la platea comprende, anche senza le ultime parole di Silvio Orlando: ricordatevi di amare.
Su questa esortazione scroscia l'applauso di tutto il teatro, prolungato fino a richiamare sul proscenio attore e orchestra che hanno ringraziato il pubblico concedendo altre esibizioni musicali, con lo stesso Orlando a suonare il flauto traverso.

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Visto il 19/02/2023
al teatro Pirandello di Agrigento (AG)
